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Una delle immagini girate di più sugli account social dedicati allo sport, nelle ultime settimane, è la foto di Roger Federer che piange seduto in panchina insieme a Rafael Nadal. Mano nella mano.

Finalmente, dico io. Ovviamente non mi riferisco al fatto che stessero piangendo ma che qualcuno, che per molti di noi è un idolo, renda normale il fatto di essere normale.

Talento, genio, idolo e, ultimo ma non ultimo, umano. 

Federer non ha gli occhi di ghiaccio e persino sorride quando è in campo. E poi si emoziona, come noi! E sembra normale, a noi che spesso ci emozioniamo come lui, pur non essendo talentuosi come lui e pur non avendo una carriera del genere alle spalle. Almeno una cosa in comune c’è.

Ci piace pensare che se lo incontrassimo in metropolitana ci direbbe “scusi, grazie e prego” per farsi spazio, perché è così che lo immaginiamo. Umano ed educato. Perché basta guardare il suo fairplay in campo, non può essere diverso fuori dal campo, no?

E quando lui scoppia a piangere noi, che fedelissimi abbiamo seguito la sua ultima partita fino alle due del mattino seduti sul divano, scoppiamo a piangere insieme a lui. Anzi, c’è chi ha iniziato molto prima che finisse la partita e che Ellie Goulding iniziasse a cantare.

Chissà cosa c’è in quel suo pianto, forse c’è la parte più bella delle emozioni che sta provando, l’intensità del successo, il peso della lunga carriera, tutto ciò che ha trattenuto. Chissà cosa ha accumulato in quei trent’anni di tennis e se dentro a quel pianto c’è anche una percentuale di sofferenza. Sì perché lo sport è meraviglioso ma genera anche la sua parte di dolore, come l’amore, perché lo sport è amore e passione e come molte cose belle, fanno bene e fanno male e richiedono spesso molti sacrifici. La loro magia risiede anche nella contrapposizione che le anima.

Quando guardiamo un atleta come lui in campo ci sembra che sia tutto facile. La palla vola, le gambe si muovono in maniera perfetta, si fermano alla distanza giusta dalla palla, lui colpisce e la palla finisce a cinque centimetri dalla riga di fondo. Al match point, il primo servizio entra e talvolta mette a segno anche un ace, non come noi a cui tremano le gambe e facciamo doppio fallo regalando la partita.

Quello che penso, da sportiva, è che vada rispettato nello stesso modo sia il suo ace sia il nostro doppio fallo. Perché lo sport è questo. E’ teorico e pratico, tecnico e tattico, fisico e testa, è volontà e cedimento. É un grande mix difficilissimo da miscelare con equilibrio, a tutti i livelli. Un talento come lui, ha la capacità di miscelare perfettamente tutti quegli ingredienti.

Chissà poi quanti tennisti di oggi sono tali perché un giorno hanno visto per caso il papà che guardava in tv una partita di Federer.

Quanto lo sport dipende da idoli e personaggi di riferimento? Credo tantissimo. Anche se il mio piccolo idolo era un ragazzino poco più grande di me che ho visto con la racchetta in mano un giorno e mi ha fatto venire la curiosità di giocare. Ma questa è un’altra storia. Ognuno ha i suoi piccoli o grandi punti di riferimento.

I nostri idoli nello sport, che siano nuotatori, pallavolisti, ginnasti o tennisti, hanno una grande responsabilità. E Federer se l’è presa tutta. Ogni giorno nel quale ha giocato pubblicamente e per ogni parola detta. Fino ad alcune tra le ultime che ha scritto, ricordandoci che non sempre le cose vanno come te le eri prefigurate nella tua mente.

Lui ha perfino perso le sue ultime partite, poca cosa rispetto a tutto il passato ma non era la fine della storia che tutti, forse lui compreso, si aspettavano. E quindi, lui, che è un grande uomo, ci lascia con un’ultima pillola di saggezza. Ci ricorda che il finale perfetto non esiste. E forse più in generale ci sta dimostrando che non si debba vivere nell’illusione della perfezione, facendone una malattia. Il suo messaggio è che la cosa più sana da fare sia accettare il proprio personalissimo grado di perfezione, senza rimuginarci su. Lo dice lui, che ai nostri occhi sembra perfetto e nonostante ciò ci ha convinto. Il lieto fine perfetto lo lasciamo alle favole di una volta. Quelle scritte nei libri. Noi ci fidiamo di lui. Talento, genio, idolo, umano.

É proprio vero che nella vita non è importante solo ciò che fai ma soprattutto chi sei.


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