Qualche sera fa, facendo zapping, sono incappata nel Festival di Sanremo. Secondo qualche dato che gira su Google, ero insieme a circa altri 12.125.000 curiosi individui-distratti-o-meno-distratti-davanti-alla-tv. Insomma, ero in buona compagnia.
Sanremo, da che io ne ho un ricordo è palcoscenico, spettacolo, vestiti, tacchi vertiginosi, scale ripide, ospiti, gingle. E’ canzoni italiane. E’ articoli di giornale su ogni quotidiano, magazine o rotocalco italiano esistente. Quest’anno per me, da donna, è stato anche vestiti-della-Hunziker, che sono rimbalzati come un flipper su tutti i social network, così da renderci impossibile il farcene sfuggire uno per sbaglio. Incantevoli. Un sogno. Il Festival di Sanremo è quello spettacolo che molti dicono di non guardare ma che tutti guardano. Per curiosità, per piacere, per tradizione, per italianità, per poterne parlare il giorno dopo in pausa caffè, per vedere se ci sarà anche quest’anno una farfallina di Belen oppure sarà tutto molto più elegante e sofisticato. E quindi se la farfallina, come quest’anno, sarà solo quella del papillon dello smoking di Baglioni, di Pier Francesco Favino o di Fiorello. Come ogni anno qualcuno sarà più contento, qualcuno meno. Il festival di Sanremo è così. Nessuno lo guarda e tutti lo guardano: “Io non l’ho visto, ma mi è capitato mentre cambiavo canale” dicono in molti…ma poi chissà perché, nessuno lo guarda, anche se…poi tutti tirano fuori dalla propria bocca “Fiumi di parole” per criticarlo (per restare in tema).
Sapete che cosa pensavo ieri? Che se da quando ho nove anni canto ad ogni Marco che conosco che “Marco se n’è andato e non ritorna più”, questo è dovuto al fatto che qualcuno dentro casa mia deve aver visto quel Sanremo. Io mi ricordo che imitavo la Pausini giovanissima che diceva “Grassie grassie”. E se il duetto Alotta-Baldi del 1992 che mi ha fatto cantare con tutta la voce che avevo e come se fosse una poesia imparata a memoria a scuola “Non amarmi, non amarmi…” e “…perché credi che sia giusto stare insieme a tempo perso…” è per me il duetto per eccellenza, è sempre dovuto al fatto che Sanremo me lo ha regalato quando di anni ne avevo nove. E’ stato come un imprinting alla musica italiana. E che se cantare dududu dadada e il trottolino amoroso mi fa sorridere da quando sono molto piccola e continua a farmi questo effetto ancora oggi, è per merito o colpa del Festival di Sanremo. La stessa cosa vale per molte altre canzoni: come quando cantavo “Italia sì, Italia no…” e scoprivo Elio e le Storie Tese.
E quindi, chissà, anche se sono un portento al karaoke sarà merito di Sanremo (o forse anche dei bicchieri di vino prima di andarci, al karaoke)?
Scherzi a parte, poi c’è da dire un’altra cosa. Io ogni anno verso Febbraio penso a come vedere il Festival di Sanremo per me oggi oltre a tutto questo spettacolo così bello, sontuoso e pieno di fiori, rievochi nella mia mente un’associazione molto semplice. Molto molto più semplice. Un’associazione con dei viaggi. Dei viaggi che facevo con la mia famiglia per andare in montagna in questo periodo. Quello di carnevale più o meno. E il ricordo nitido è quello dell’autogrill nel quale oltre a fermarci per fare benzina, insieme al Toblerone compravo con mio padre le cassette del Festival di Sanremo. Era una tradizione. Mi ricordo che si trovavano dal giorno dopo l’inizio del Festival. E lui, in macchina, le metteva subito. Il mio viaggio in macchina aveva come sottofondo, volente o nolente quindi, la compilation di Sanremo. Quello di una famiglia italiana. A volte alcune cassette erano delle vere lagne. Noiosissime. Sì, perché sentirle una dopo l’altra tutte insieme era a volte un po’ una noia. Non era come guardarlo-e-ascoltarlo-distrattamente-o-meno-distrattamente-da-casa. Non era come sentirne alcune canzoni uscite fresche fresche alla radio. E allora io chiedevo di rimettere il lato A, nel quale c’era “La solitudine” della Pausini, magari. O Grignani, che ne so. Avevo individuato alcune canzoni preferite. Che si può pretendere dalle orecchie di una ragazzina. Però penso che sarà proprio per questo che ho iniziato a cantare “Mille giorni che ti ho perso” di Zarrillo con un pathos del quale ancora non distinguevo il vero significato o come uno sciogli lingua tutto il testo di “Capelli” di Niccolò Fabi, che ancora recito a tempo di record quasi come fosse un rap. Addirittura “Lasciarsi un giorno a Roma”, me la sono portata dietro per anni ed anni, fino a che non ho veramente capito che cosa volesse dire, “Lasciarsi un giorno a Roma”, letteralmente. Poi, dopo averlo compreso, gli ho dedicato un capitolo nel mio primo libro, libro che dà il nome al mio blog.
E’ così, con le cassette in macchina che Sanremo mi iniziava ad entrare in testa. Quando non guardavo i vestiti della Hunziker ma ripetevo canzoni senza indagare sul significato del testo. E quindi per me Sanremo…sarà sempre associato a quello stesso Autogrill. Non credo che nessun autore del Festival avesse mai pensato che un bambino potesse fare un’associazione del genere. Con un autogrill. Come quello dei biglietti della lotteria prima dell’epifania. Mio nonno li comprava in autogrill. E per me lì si compravano, non altrove.
Da bambini creiamo naturalmente nella nostra testa delle associazioni abbastanza originali o strane a volte e poi ci rimangono attaccate in testa come dei post it. E i grandi non lo sanno. Su questi post it appuntiamo senza saperlo dei ricordi, anche semplici. Non per forza fondamentali. Come questi, come alcune canzoni alle quali leghi certe sensazioni…Paesaggi che scorrono da un finestrino, la forma piramidale del Toblerone, il freddo che senti quando scendi dalla macchina parcheggiata in Autogrill, il profumo dell’aria fredda. Poi alcuni post it svolazzano via, altri hanno una colla più forte non se ne vanno, non si staccano. E per qualche associazione mentale quella sensazione viene rievocata nella tua testa quando meno te lo aspetti. Quando sei grande, e ti viene toccata una certa corda che tu non sai neanche quale sia. Ad esempio, a me viene rievocata sempre quella sensazione ogni volta che sento la sigla del Festival. Ora che in montagna ci vado di meno. Che a Febbraio lavoro invece che andare a scuola e che anche se anche il week end parto non mi fermo a comprare musicassette di Sanremo. In autogrill prendo un caffè e mangio una Rustichella, casomai. Anche se sono sempre tentata di comprare il Toblerone.
E’ bello realizzare a come risalgono in superficie alcuni ricordi impolverati, perché ti fanno rivivere delle sensazioni solo tue. E ti fanno venire voglia di andare nel garage dei tuoi genitori, cercare tra le scatole di cose vecchie, prendere le cassette, cercare quelle di Sanremo, togliere la polvere, riavvolgere il nastro con una penna BIC e poi cercare un registratore e premere PLAY, per risentire quelle emozioni, di canzoni di Sanremo che ricorderai, per tanti motivi insospettabili e che rievocano delle reminescenze andate ma a loro modo ancora attuali, che non vuoi che svaniscano dentro ad una playlist di Spotify mescolandosi con le canzoni del tuo presente. Oppure, quegli stessi ricordi, se sei a casa, ti fanno venire voglia di accendere la tv e guardare-distrattamente-il-festival, come il 12 milionesimo spettatore. E quando ti chiedono “Ma davvero hai visto il Festival?” risponderai di sì, ma Solo tu saprai veramente perché hai acceso la tv.