Esistono vari tipi di dimissioni. Dal lavoro ad esempio. Da una carica della quale sei stato investito, da un ruolo. E da un ricovero. Io ultimamente ho sperimentato l’ultimo.
Essere dimessi dall’ospedale, fa sentire bene ma anche un po’ in colpa. Perché per uno che esce, c’è sempre uno che resta.
Ti senti in colpa nei confronti della tua ultima compagna di stanza, 87 anni di genuinità, che si è commossa quando te ne sei andata. Con lacrime vere. E ti senti in colpa nei confronti della tua prima compagna di stanza ventitreenne, una super ragazza biondina con una frezza blu tra i capelli e con qualche acciacco, che meriterebbe anche lei di uscire subito e di tornare a vivere la sua vita da 23 enne dal suo ragazzo in America. Bada bene, uscire non vuol dire essere guariti, vuol dire stare per un po’ a casa a fare le terapie e poi dei controlli nel mezzo, e poi, chissà…ma una cosa è stare a casa, una cosa è stare in ospedale. Quando sei lì, stanno tutti male, chi più chi meno, e convivere qualche giorno nella stessa stanza, equivale a conoscersi da molto più tempo, proprio perché condividi dei momenti in cui stai male, e il calore che ti serve in quel momento è tanto, e lo cerchi anche molto vicino a te, da chi sai che ti può capire, perché sta nel letto accanto a te. E lo stesso calore ti viene dato, ti viene spontaneo restituirlo. In un certo senso ci facciamo del bene.
Non funziona come là fuori, nella vita fuori dall’ospedale. Là fuori, ormai è così raro che il tuo calore venga restituito. Se stai male, fuori o dentro, a volte capita che non gliene freghi nulla a nessuno. Perché ognuno tende sempre di più a pensare a se stesso. Non voglio generalizzare. Per fortuna non è la regola, ma è solo, a volte, un dato di fatto del quale prendi coscienza quando sei adulto.
In ospedale, la solidarietà che si instaura è molto forte. Ci si aiuta, ti interessi con sincera preoccupazione della salute dei tuoi compagni di avventure, perché stai male insieme. E visto che soffri insieme, c’è molta empatia. Quando sei lì tu guardi il cellulare, il tablet (almeno se sei giovane e se ne sei provvisto), la porta, il soffitto ed il muro davanti a te, per fortuna ogni tanto dormi ma le ore non passano mai. La signora accanto a te si siede sul letto e ti racconta la sua vita, che ha 87 anni, ma gliene avresti dati una settantina, che è di Campobasso, ha vissuto in Germania, lavorato nelle fabbriche; ti racconta gli aneddoti delle fabbriche, della sua collega turca e di quella greca, e del tedesco al quale lei rispondeva sempre”IA IA”; della sua trattoria sull’Appia quando era giovane, di salsicce e caciocavalli molisani; di quanto cucini bene i piatti romani e di quanto da giovane fosse una “bella mora” con una vita stretta.
Ha tanto da raccontare, anche se penso non sappia cosa sia Facebook o Instagram. Quella vita patinata che ci porta fuori strada e che non sai quando sia più finzione o più realtà, ma che ci piace tanto. La signora è tutta reale ed è un fiume in piena, perché se già ad 87 anni le persone si sentono sole, a volte, lì dentro, forse si sentiva ancora più sola. Le abbiamo portato un po’ di gioventù, quando sono venuti a trovarmi i miei amici, e ad uno ad uno ha fatto l’identikit a tutti. E quando se ne sono andati mi ha riferito tutto. Li aveva schedati. E’ stata precisa eh! E ci ha anche preso! Con l’occhio saggio dell’esperienza mi ha dato il suo giudizio e ha espresso le sue preferenze. Come se stesse guardando un nuovo telefilm con dei personaggi fino a quel momento a lei sconosciuti. D’altronde, a lei mancava la televisione, e di certo non usava smartphone o tablet per passare il tempo.
E poi dopo aver schedato tutti i miei amici se n’è uscita così: ”ma il tuo ragazzetto non viene a trovarti?” e io le ho risposto che un ragazzetto non ce l’ho, che non ho ancora trovato qualcuno decente con cui “re-stare”. E lei, gesticolando mi ha risposto: ”hai ragione Nicole’ sono tutti quaquaraqua, ma sei una brava ragazza, e bella, quindi ti devi trovare un bravo ragazzetto”. Giovanna forse ha ragione, penso. Anche se poi non lo so mica se lo incontrerò mai, perché, come dice Giovanna “ognuno di noi ha il suo destino”, e io non so quale sia il mio. Per ora lo vedo così contorto. So solo che in questo momento e per un po’ di tempo, trovare questo famoso ragazzetto decente sarà l’ultimo dei miei pensieri. Sarà che ho bisogno di cose facili e nessun altro problema. E quella, non la catalogo tra le cose facili.
In ogni caso a parte questa parentesi sulla signora Giovanna, come dicevo all’inizio, uscendo da lì mi sentivo in colpa, perché penso che sia naturale sentirsi così se condividi con qualcuno qualcosa di brutto e poi lo molli lì, così. “Ognuno al suo destino”, come dice lei.
Stare in ospedale è un’esperienza, e per quanto sia, ci sono rimasta anche poco. Ma non vorresti mai che il medico ti dicesse che ti dimettono davanti alla tua compagna di stanza che invece resta lì, perché non pensi che in fondo sia corretto. Dovremmo andarcene tutti, da lì, perché stai male tu, insieme agli altri tuoi coinquilini e stanno male le persone che stanno lì fuori, preoccupate per te. E nessuno meriterebbe di stare male e comunque, tutti noi abbiamo il diritto di uscire e di riabbracciare al più presto chi abbiamo di più caro. Anzi, forse, non ci dovremmo proprio entrare lì!
C’è da dire che quando ci sei ti rendi conto di tante cose. Anche di quanto siano importanti le persone che lavorano lì dentro, che sono le colonne di tutto e dovremmo essere grati sempre se c’è qualcuno che ha la vocazione per fare l’infermiere o il medico in ospedale. Quell’inferno in cui loro si muovono pazienti e veloci, nonostante a noi a volte sembri di no. Anche loro avranno le loro preoccupazioni eppure sono super professionali e lo fanno con dei ritmi intensissimi.
E ci dovremmo rendere conto di quanto siamo fortunati quando siamo qui fuori e stiamo bene e ci lamentiamo spesso, tanto e sempre di tutto. Non lo so cosa possa essere giusto e cosa no. Ma io so solo che ero contenta per me, dispiaciuta per loro, per chi resta. E penso alle tante persone che ogni giorno sono in un ospedale, in attesa di qualcosa. Lo so che è un pensiero inutile che non ha soluzione, e che penso troppo e a tante cose.
Ma credo anche semplicemente che, quando siamo qui fuori, non dovremmo dare sempre tutto e tutti per scontato.
E ricordarci che è bellissimo stare qui fuori. Almeno prima di riprendere la nostra routine e dimenticarlo un’altra volta.